L’antimateria è tra noi: la PET – B-log(0) :B-log(0)

L’antimateria, questa sconosciuta… da molti è considerata quasi fantascienza, qualcosa di molto teorico che si può usare solo nei libri di Dan Brown per esplosioni gigantesche e in quelli di Asimov come propulsore di navicelle iper-veloci.

Questa natura “puramente teorica” dell’antimateria ha le sue motivazioni… infatti la scoperta è del 1928, quando Paul  Dirac si era trovato di fronte ad alcune equazioni che davano come risultati possibili sia dei valori positivi che negativi. Le equazioni di Dirac trattavano di fisica delle particelle e i risultati positivi si riferivano agli elettroni. Dirac ebbe la geniale idea di non scartare l’altra metà dei risultati, apparentemente senza senso, ma anzi dargli un valore fisico e dare il via alla teoria delle particelle di antimateria.

Scansione del cervello tramite PET

45 anni dopo questa idea apparentemente teorica diventa realtà pratica e l’antimateria non viene più usata solo negli esperimenti dei laboratori di fisica, ma anche nei nostri ospedali, ogni giorno.

Infatti la PET (tomografia a emissione di positroni), una tecnica di diagnostica medica usatissima per ottenere mappe dei processi funzionali all’interno del corpo, si basa sull’emissione di POSITRONI, una particella equivalente agli elettroni, ma di antimateria.

Come funziona questa tecnica? È piuttosto semplice da capire.

Alla persona sottoposta a PET viene inserito, per via endovenosa, una sostanza chiamata 18-FDG, molto simile al glucosio ma con un atomo di fluoro radioattivo. Questa sostanza all’interno del corpo va a posizionarsi dove normalmente si mette il glucosio, cioè un po’ dappertutto nell’intorno della zona in cui è stato inserita. Differentemente dal glucosio però questa molecola è instabile ed emette continuamente positroni.

I positroni emessi dalla FDG, essendo antiparticelle, dopo pochi millimetri si incontrano con un elettrone e insieme si annichiliscono (termine usato per indicare la contemporanea trasformazione di materia e antimateria in energia), producendo una coppia di raggi gamma. Questi raggi possono essere rilevati al di fuori del corpo e rendono possibile una mappatura di dove l’FDG si è posizionata e in quali quantità.

Dato che la FDG viene assorbita soprattutto dalle cellule del cervello e dalle cellule tumorali (fino a 200 volte più “attive” delle cellule normali), la PET viene usata con ottimi risultati per rilevare tumori e diagnosticare problemi al cervello di pazienti con demenze tipo Alzheimer (alcune zone del cervello sono meno attive di altre nei pazienti con demenza). Con una scansione PET è inoltre possibile visualizzare il cambio di afflusso sanguigno nelle varie strutture anatomiche.

Una limitazione alla diffusione della PET è il costo dei ciclotroni, dei piccoli acceleratori di particelle usati per la produzione degli isotopi radioattivi, che devono essere generati e usati in tempi molto brevi prima di diventare inutilizzabili (non emettono positroni per sempre…)

Rischi per il paziente?

Pochi, l’unico problema è la rilevante esposizione radiattiva che raggiunge la dose massima annuale con una sola PET e la supera nettamente con un esame di PET+TAC (raggi X). Bisogna quindi avere ragioni ben fondate per sottoporsi ad un esame del genere.

Evviva la fisica teorica!