Sfottere chi se lo merita – B-log(0)

Alcuni mi fanno notare che nei miei articoli a volte sono un po’ troppo duro, cattivo ed eccessivamente ironico contro le idee e le posizioni di chi non la pensa come me.

Anzi è proprio così, è una scelta “stilistica”, un modo per essere un po’ meno noioso e più frizzante in modo che il lettore riesca a leggere fino in fondo senza doversi per forza immergersi in una lettura forse interessante ma lenta, didascalica e poco incisiva.

Ad esempio, il titolo qua sopra… è un po’ esagerato ma se avessi titolato “Informare con serietà o con seriosità?” metà di voi non avrebbe nemmeno cliccato. Ed è un peccato, perchè questo secondo titolo sarebbe stato molto più corretto: io cerco di scrivere cose SERIE (nel senso di ragionare senza impulsi e prendersi le proprie responsabilità) ma senza essere SERIOSO (ostentare serietà, darsi un tono, usare lessico e stile forbito).

Dottor Mozzi con un magnifico cappellino di una squadra NBA 🙂

A volte eccedere in ironia può sembrare poco professionale, ad esempio molti si sono offesi per le battute sull’anzianità del dottor Mozzi, che propone diete miracolose ma poi dimostra 10 anni in più della sua verà età (ah, l’ho visto di persona pochi giorni fa, era attorniato da un nugolo di “credenti” in adorazione, che personaggio… vedi foto). A parte gli insulti a volte si rischia anche la denuncia per una battuta di troppo (il caso Boiron insegna), ma fare il compitino preciso non porta al risultato sperato: farsi leggere e creare una discussione viva tra più persone che la pensano diversamente.

A questo proposito, copio/incollo degli spezzoni da un bell’articolo del sempre bravissimo Bressanini (blogger di Le Scienze).
Anche lui, nelle mie condizioni (con moooolti lettori in più, naturalmente), preferisce restare ironico accettando che qualcuno possa risentirsi al punto tale da non ascoltare più le ragioni di chi scrive (le sue parole in corsivo, io concludo in fondo):

In un articolo su una rivista scientifica normalmente dopo l’esposizione dei fatti accertati si procede alla discussione delle conseguenze logiche. Nei mie articoli divulgativi a volte questo lo faccio, altre volte no. Un po’ perché ho sempre il dubbio di “insultare” il lettore con ragionamenti che forse sembrano troppo banali, e conclusioni che discendono logicamente dai fatti. Allo stesso modo, non mi metto esplicitamente a elencare che cosa non discende dall’esposizione principale, anche per questioni di lunghezza degli articoli.

Ma forse sbaglio perché articoli che scatenano emozioni di vario tipo possono modificare in modo sostanziale la comprensione di un testo, specialmente se si mettono in dubbio l’universo valoriale, le convinzioni delle persone e l’immagine che hanno di sé. (poi, vabbè, questo accade pure agli scienziati, anche se non dovrebbe, ma è un’altra storia).

“Avrei dovuto scrivere il pezzo limitandomi agli (aridi) dati scientifici?” Forse se non avessi messo in ridicolo le idee di Steiner (ma solo forse) avrei evitato il rifiuto di questi lettori verso il resto dei ragionamenti. D’altra parte l’articolo sarebbe indubbiamente risultato molto meno efficace per il restante (la maggioranza) pubblico. E qui entra anche in gioco il mio personale dualismo di essere sia scienziato che divulgatore.

Il divulgatore in me, se vuole essere efficace, mi dice che sicuramente sarebbe stato un errore limitarsi all’esposizione dei freddi dati scientifici. Ci sono delle esigenze narrative da rispettare e l’attenzione del lettore da conquistare. Mi avvisa però anche del limite: attaccare esplicitamente idee e opinioni, per scelta stilistica, porta come conseguenza la perdita di efficacia del messaggio per un determinato pubblico, anche se diventa più efficace per altri lettori.

Lo scienziato “razionalista militante” che è in me mi rammenta che è un dovere distruggere idee pseudoscientifiche, e rifiuta del tutto la vulgata diffusa per cui la visione scientifica (nei casi in cui vi siano effetti misurabili in linea di principio) sia solo “uno dei tanti modi egualmente legittimi di interpretare la realtà”. Anzi, rivendica orgogliosamente l’idea che la visione scientifica sia un prerequisito necessario (nei casi indicati) per ogni altro tipo di discussione e visione del mondo, che non può prescindere da questa, e quindi le altre sono in qualche modo vincolate a muoversi nei “paletti” che la scienza impone, che piaccia o meno.

L’evoluzione è un fatto. Punto. Rassegnati. Parla pure della tua religione ma ti bacchetto se la neghi.

La terra non è stata creata 4000 anni fa, e non ti puoi arrabbiare se in un museo scientifico te lo spiegano, anche se va contro le tue convinzioni religiose.

Insomma, va bene parlare e discutere con tutti, ma fino a un certo punto.

La pecora smarrita la lasciamo a Dio. Dio che, tra l’altro, non esiste. E se non vi va bene, vaffanculo.