Il Caso o la Speranza? – B-log(0) :B-log(0)
Ho recentemente letto un libro-dialogo tra il filosofo ateo Paolo Flores D’Arcais (direttore di Micromega) e il teologo credente Vito Mancuso (famoso per le sue posizioni cristiane non dogmatiche e progressiste).
Non voglio commentare gli interessanti scambi tra questi due ottimi pensatori ma vi propongo alcuni passaggi del libro che mi hanno colpito e che voglio scrivere uno dietro l’altro per poterli ricordare meglio (e, forse, per convincere qualcuno a comprarsi il libro!).
Ho un po’ rielaborato le frasi per renderle più comprensibili una volta estratte dal contesto.
“Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”
Carlo Maria Martini
Se è vero che atei e credenti condividono alcuni valori essenziali etico-politici, non è così il modo di «fondarli»: il vero punto della discordia è sul relativismo (certezze religiose vs falsificabilità scientifica)… andiamo a leggere degli estratti dal libro:
L’ateismo non è una fede ma una constatazione: noi sappiamo “tutto”. Dal primo istante, o meglio dall’istante immediatamente successivo al Big Bang, fino alla comparsa di Homo sapiens e alla sua avventura che anche tu e io stiamo ora vivendo, ciò che è avvenuto ha una spiegazione che prescinde da Dio. Dio è perfettamente superfluo.
Sappiamo perfettamente di essere delle scimmie modificate… La neocorteccia che ci distingue dalle nostre cugine scimmie nasce da una serie di errori di trascrizione del DNA, errori di successo, in questo caso. Il frutto di questi errori consente e garantisce al nostro cervello funzioni inedite e prestazioni straordinarie rispetto al mondo animale: le chiamiamo «coscienza» o anche «libertà». Questi elementi emergenti e strabilianti restano comunque legati indissolubilmente al fatto fisico «cervello», non hanno origini misteriose e inesplicabili. Dato che il nostro cervello è semplicemente il cervello modificato di una scimmia non si vede perché l’ampliamento di materia grigia dovrebbe garantire eternità alle prestazioni inedite che sussumiamo sotto la parola «coscienza» o «anima».
Sull’impossibilità della vita
Immagina una lotteria a cui partecipi con un biglietto ciascuno dei sei miliardi di sapiens che oggi abitano il pianeta. Anzi, che siano sei miliardi per sei miliardi, da elevare alla potenza che preferisci. La probabilità che il tuo biglietto vinca è praticamente eguale a zero, proprio come l’estrazione di sapiens a partire dai gas primordiali, eppure è certo che un biglietto vincerà. Quale che sia, guardando a ritroso potremmo dire che era «impossibile» vincesse, eppure ha vinto. Bene, dai gas primordiali potevano venir fuori varianti innumerevoli, e anche a limitarsi a quanto avvenuto in questo microcoriandolo di universo che è la Terra, le cose si sarebbero potute evolvere in un’infinità di modi diversi. Qualsiasi risultato sarebbe stato a «probabilità zero», eppure sarebbe stato realissimo. Per contingenza è venuto fuori il nostro, che ha portato alla Cappella Sistina e a Caravaggio.
Necessità o caso?
Ma dal Big Bang NON era già scritto che saremmo arrivati a Caravaggio… Stephen Jay Gould analizza sette momenti in cui l’evoluzione della vita avrebbe potuto prendere una piega radicalmente diversa, e nessun sapiens avrebbe mai potuto ricostruirla e raccontarla ad altri sapiens, perché di sapiens non ci sarebbe mai stata traccia:
il passaggio dalla cellula procariotica (senza nucleo, risalente a 3,5 miliardi di anni fa) alla cellula eucariotica e connessa costruzione di stromatoliti (1,4 miliardi di anni fa), la comparsa dei metazoi pluricellulari (570 milioni di anni fa) e avvicinandoci a noi, la fauna di Ediacara che potrebbe non comprendere alcun antecedente della vita successiva, e dalla cui sopravvivenza, anziché estinzione, non sarebbero mai nati animali con organi interni ma solo a «fogli e frittelle», e la fauna di Burgess (oggetto principale del libro) dove sopravvive Pikaia gracilens, protocordato con la cui estinzione nessun cordato, dunque nemmeno Homo sapiens, avrebbe colonizzato il pianeta…
Noi come Homo potevamo non esserci, ne sono convinto. Ma il senso del mondo come sapiens sapiens non poteva non esserci. Naturalmente questa è una filosofia. È la mia propensione, il mio punto di vista. Ma che cosa intendo dire? Intendo dire che se non ci fosse stato il meteorite sullo Yucatan noi avremmo oggi Saurus sapiens sapiens. Intendo dire che certamente Homo è qualcosa di contingente, ma contingente non è la tensione dell’essere-energia verso la comprensione di se stesso che si dà nella mente dell’uomo. L’uomo in quanto fenomeno concreto è contingente, è un piedistallo, per così dire, che poteva essere ben diverso: invece di avere due gambe ne poteva avere quattro, invece di essere nudo poteva essere coperto di pelliccia eccetera. Insomma, l’uomo è contingente in tutte le sue forme di apparizione, ma il fatto che l’universo prenda coscienza di se stesso e diventi sapiens sapiens, questo non è contingente. Ovviamente non c’è nessuna possibilità di dimostrare la mia tesi, e infatti la mia è una filosofia. Ma è una filosofia che non solo non è incompatibile con i dati della scienza, ma è formativa in ordine al mio essere al mondo, mi consola nel senso forte del termine.
Sulla possibilità di avere una verità assoluta
Tu dici che nella storia del mondo si sono susseguite diverse fenomenologie del sacro e così pure diversi paradigmi etici. Da qui l’impossibilità di individuare un’etica assoluta, ovvero una regola che tutti riconoscono come tale. Non sono affatto d’accordo. Quando le grandi tradizioni spirituali dell’umanità si sono messe a riflettere sul principio formale dell’etica sono giunte tutte a ciò che comunemente in teologia e in religione si chiama «regola d’oro»: «non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te»
Il tuo discorso reggerebbe se con “prossimo tuo” su intendesse l’universalità degli uomini. In realtà la regola d’oro vale sempre solo all’interno di una comunità, e non vale per gli «altri», comunque siano definiti. Perché valga per tutti gli appartenenti a sapiens bisogna che sia già stato scelto come valore universale l’eguale dignità di tutti. Il che avviene solo in un fazzoletto recentissimo dello spazio/tempo della vicenda di sapiens. Tutto il resto della sua avventura si svolge all’insegna della regola opposta: noi (regola d’oro) e loro (materiale a disposizione). Nelle nostre cellule (e nel cosmo), non è impresso alcun DNA morale.
Kant affermava: crederò inevitabilmente in Dio e in una vita futura perché altrimenti i miei principi morali sarebbero scalzati. E Kant affermava ciò non perché non avrebbe fatto fino in fondo il bene, ma perché avendo fatto fino in fondo il bene se non ci fosse questa dimensione di Dio e della vita futura, ovvero di un orizzonte di essere che va al di là della dimensione del puro bios, l’etica non avrebbe avuto quel primato che lui pensava dovesse meritare. E io con lui. Questa è la mia conclusione.
Tu invochi l’emozione di fronte a un quadro o ai versi come esperienza dell’uscire fuori di sé, dunque della trascendenza: ogni «qualcosa più grande di sé» per il quale valga la pena vivere sarebbe per ciascuno «Dio». Sia chiaro: se chiamiamo «Dio» ogni ragione che ci motiva e appassiona, ovviamente «scopriremo» Dio, visto che lo abbiamo presupposto e ridotto a qualcosa che possedevamo già (i nostri ideali esistenziali). Ma così «Dio» diventa una mera metafora, che anche il più intrattabile degli atei può tranquillamente adottare.
Spero che leggere questi spezzoni di dialogo vi abbiano invogliato a prendere il libro, che non è pesante e scorre abbastanza veloce (a parte qualche dissertazione un po’ filosofica in certi passaggi).
Mancuso va’ fiero della sua speranza in qualcosa di superiore che dia fondamento all’etica, D’Arcais molto razionalmente ritiene insensato parlare di ciò di cui non si ha alcuna prova e che non rispetta il rasoio di Occam (che Dio esista o meno è ininfluente nello spiegare l’universo, perchè introdurre questa ipotesi?).
Alla fine ognuno sembra restare sulla propria posizione, ma ogni volta che si discute si ampliano le conoscenze e ci si mette nei panni degli altri così che dialogo dopo dialogo, lettura dopo lettura, ci si forma un’idea sempre più chiara ma anche più tollerante e aperta verso il prossimo.